di Paolo Emilio Poesio
All’epoca in cui il Teatro Tenda iniziò la sua attività sulla riva destra dell’Arno (quella Bellariva così cara ai pittori paesaggisti), Firenze non mancava di spazi teatrali alternativi ai palcoscenici maggiori: il Rondò di Bacco, l’Affratellamento, la sala della S.M.S. di Rifredi svolgevano una preziosa attività di diffusione e conoscenza delle nuove drammaturgie. Il Teatro Tenda, pertanto, parve destinato a un limitato campo d’azione. Ma ecco che a fine Novembre di quel 1978 fece la sua inaspettata apparizione anche il teatro drammatico sotto le spoglie di un’eccezionale (e, crediamo, irripetibile) collaborazione tra “Pupi e Fresedde”, il giovane gruppo diretto da Angelo Savelli, e il celeberrimo “Bread and Puppet” di Peter Schumann, per La ballata dei 14 giorni di Masaniello: una sorta di grande stampa popolare animata da ventotto attori (otto dei quali della compagnia americana) impegnati a recitare e a far muovere giganteschi pupazzi, alti cinque metri, in mezzo a una galleria di attoniti volti di cartapesta. Nessun altro spazio al coperto avrebbe potuto ospitare, a Firenze, questo immenso gioco di immagini, suoni, voci che evocava la vicenda del capopopolo partenopeo giunto al potere e logorato dal potere, vicenda che evocava, a noi che l’avevamo vissuta, una pagina recente della storia d’Italia. Il teatro di prosa, quindi, aveva fatto il suo ingresso a bandiere spiegate sotto la Tenda, tanto che nessuno si stupì nel Febbraio 1979 di vedervi ospitato “Un tram chiamato desiderio” di Tennessee William con Philippe Leroy e Francesca Benedetti, già noto a Firenze per esservi stato rappresentato alla Pergola nel Novembre del 1978. Bisogna dire che nonostante la qualità dei due attori principali (Leroy, in particolare, godeva di larga popolarità per la sua attività cinematografica e per aver incarnato Yanez nel Sandokan televisivo) l’esito fu modesto e il migliore in campo parve FernandoCajati in un ruolo minore.
Enorme, invece, e prevedibilissimo, l’entusiasmo che un mese più tardi accolse Franca Rame in “Tutta letto e chiesa” e Dario Fo con la sua irresistibile “Storia della tigre”. Fu il primo dei tre incontri del binomio Fo-Rame con il pubblico del Teatro Tenda. Se il primo aveva avuto un successo incondizionato, con scrosci quasi alluvionali di applausi, il secondo doveva riserbare una sconcertante sorpresa a Fo, che da diversi mesi stava raccogliendo esauriti su esauriti e acclamazioni su acclamazioni con “Clacson, trombette e pernacchie”: sessantamila spettatori non sono trascurabili e soprattutto sono la conferma della riuscita dello spettacolo. E invece, al Tenda, la prima sera, solo duecentonovanta persone. Sbalordimento generale, Fo annulla la recita della seconda sera, invocando un guasto all’impianto dell’aria condizionata. Ma, alla fine le rappresentazioni ricominciano e, tac, per miracolo sono tremila in sala i fiorentini plaudenti, senza che nessuno sia stato in grado di capire il motivo di quell’esordio infelice. Senza inciampi, al contrario, nel 1984, il terzo ed ultimo, per ora, incontro: anche se Franca Rame dovette pubblicamente lamentare l’ottuso divieto posto ai minori dalle autorità competenti per “Coppia aperta anzi spalancata e Stupro”: due testi nei quali l’attrice mise a fuoco una volta di più la sua padronanza nel comico e nel drammatico. Dario Fo, dal canto suo, mandò in visibilio il pubblico con il “Fabulazzo osceno”. Ma torniamo al 1980: quando la danza classica si inserì, con Liliana Cosi e Marinel Stefanescu, in un cartellone tutto centrato sulla modernità. I due danzatori da tempo si erano prefissi il compito di far conoscere a un pubblico non elitario pagine importanti e anche meno note dell’arte tersicorea. […….] Trasformato il Teatro Tenda in un ampio impianto circense, intricato labirinto di scale e di scivoli, di piattaforme altalenanti e di pedane e trapezi, il gioco degli attori si svolgeva in una dimensione di delirio onirico in cui tutto poteva accadere salvo rendersi poi conto che nulla era accaduto perché tutto poteva ricominciare ad accadere. Ad accrescere il fascino dell’insieme, i costumi e gli elementi scenici di quel mago che è Lele Luzzati.
Ora, la memoria fa un certo sforzo a discendere dalle aeree vie del sogno per ritrovare la realtà quotidiana: ma giacchè quest’ultima si presenta con il volto spiritato e spiritoso di Roberto Benigni, il salto è meno sgradevole. Anzi, è senz’altro gradevole. Una folla traboccante attendeva alla prova del palcoscenico l’attore che molti avevano visto solo in cinema o alla televisione [….]: trovarselo davanti in carne ed ossa fu tutt’altra cosa anche perché Benigni dette la stura ad un repertorio senza fine, sciorinando battute all’impronto e frecciate e sberleffi giocando il tutto su un’unica corda ma con le variazioni che solo i grandi comici sanno impiegare. Un successo enorme che doveva ripetersi nel 1984 quando il Robertaccio scanzonato e incorreggibile si divertì, divertendo l’auditorio, a divagare sui temi più diversi, dalla politica (anzi, dai politici) agli scandali, da una personale interpretazione della storia di Caino e Abele ai fatterelli di cronaca, abbandonandosi a una inventiva travolgente e dinamica alla quale il pubblico foltissimo dava un contributo diretto in una specie di collaborazione spontanea. […]…il Teatro tenda ospitò poi, nel 1985, un gruppo di comici molto noti, capeggiati da Paolo Hendel, in veste di intrattenitore, nel Grancabaret, antologia di “pezzi” interpretati da Riccardo Sangallo, Davide Riondino, Carlo Isola, I Gemelli Ruggeri, Vito, Daniele Trambusti. Si trattò di un esperimento che avrebbe avuto bisogno di avere alle spalle un forte appoggio finanziario per perfezionarsi e lanciarsi in una produzione teatrale di tutto rispetto oppure in televisione. Purtroppo, l’esperimento rimane tale con la sola consolazione del consenso degli spettatori. Come si è visto, grandi nomi avevano illustrato già nel 1981 il libro d’oro del Teatro Tenda la quattordicesima Rassegna internazionale dei teatri stabili (manifestazione fiorentinissima, di fama mondiale, lasciata poi morire per stolte beghe politiche) chiese ospitalità per due spettacoli stranieri […] e da lì in poi fu grande teatro per il Teatro Tenda.